Intolleranze alimentari e aumento di peso:
un mito da sfatare
Di intolleranze alimentari sentiamo parlare quotidianamente, molto spesso a sproposito o in maniera imprecisa o esagerata. Scopriamo perché.
Prima di tutto è bene precisare il significato del termine per capire di cosa si tratta. Definiamo intolleranze alimentari una serie di reazioni avverse provocate da alcuni alimenti, ossia certe risposte anomale che l'organismo di persone predisposte presenta quando entra in contatto con determinate sostanze contenute in alcuni cibi.
Tali sostanze possono essere componenti propri dell'alimento oppure sostanze che si formano nel corso del processo digestivo, oppure ancora componenti alimentari dotati di attività farmacologica (come l'istamina o altre amine nei cibi che ne sono ricchi, o i cibi liberatori di istamina) oppure additivi alimentari di comune impiego industriale, metalli come il nichel, ecc. Tali risposte anomale si producono con meccanismi di vario tipo (enzimatico, metabolico, farmacologico, ecc), diversi da quelli che provocano le allergie, e si concretizzano sostanzialmente in un malassorbimento che causa reazioni dose-dipendenti che portano alla comparsa dei sintomi della intolleranza.
Fra questi, i sintomi più frequenti sono quelli a carico dell'apparato gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, meteorismo, ecc). Più raramente osserviamo ritenzione idrica, disturbi a carico dell'apparato muscolo-scheletrico, della cute, del sistema nervoso (depressione, ansia, irritabilità) o di altri apparati.
Gli alimenti che più spesso causano la comparsa di intolleranze sono alcuni pesci, i crostacei, il latte e alcuni suoi derivati, le fave, la soia, alcuni tipi di frutta e ortaggi (quali fragole, pomodori, melanzane, ecc), bevande contenenti caffeina o alcool, ecc. Va però detto subito che è del tutto infondata la convinzione, così diffusa, che soffrire di intolleranze alimentari porti di per sé ad un aumento del peso, e che quindi eliminare i cibi ai quali siamo intolleranti faccia automaticamente dimagrire. Paradossalmente, invece, considerato che se un cibo viene male o poco assorbito le calorie che apporta andranno in gran parte perse, essere intolleranti ad uno o più alimenti dovrebbe piuttosto portare ad un dimagrimento, peraltro non auspicabile in quanto legato ad un processo patologico.
Il guaio è che c'è chi specula su queste situazioni, non solo sfruttando l'equivoco di chi interpreta le fastidiose sensazioni di gonfiore (addominale e non solo) provocate dalle intolleranze come sintomi di un aumento del grasso corporeo, ma anche pretendendo di identificare gli alimenti responsabili sulla base di metodi che gli allergologi non riconoscono come validi e che anzi denunciano come inattendibili quando non mistificatori.
Il risultato è l'imposizione per vari mesi di diete basate su restrizioni alimentari severissime, molto incomplete e sbilanciate perché eliminano intere classi di alimenti. I prodotti presi di mira, guarda caso, sono quasi sempre gli stessi, tutti abitualmente molto cari alle persone in sovrappeso: latte e formaggi, derivati del frumento, olio di oliva, cibi lievitati, ecc. È evidente che con queste diete ristrettissime si finisce col perdere peso, a volte anche troppo velocemente. Ma il dimagramento non è da correlare alla eliminazione dei cibi ai quali "si sarebbe" intolleranti, ma semplicemente all'imposizione di una razione tanto ridotta da assomigliare spesso ad un semidigiuno. Una razione che, se adottata a lungo, rischia di creare reali carenze di sostanze nutrienti, mentre, al contrario, non riesce né a favorire uno stile alimentare più corretto né ad impedire il successivo recupero del peso perduto.
- Marcello Ticca, Libero docente e specialista in scienza dell'alimentazione -